ELETTRA

di Euripide

Lo spettacolo ha debuttato al Teatro Olimpico di Vicenza per  il 71° Ciclo di Spettacoli Classici

traduzione Caterina Barone
regia e drammaturgia Daniela Nicosia
con
Massimiliano Di Corato - PROLOGO - MESSAGGERO
Caterina Pilon - ELETTRA
Alberto Fornasati - ORESTE
Grazia Capraro - CLITEMESTRA
Giorgia Polloni, Andrea Tich - CORO
aiuto regia Vassilij Gianmaria Mangheras
scene Gaetano Ricci
musiche originali Paolo Fornasier
elementi coreografici Clara Libertini
disegno luci Paolo Pellicciari
disegno suono Simone Livieri
video di scena Marco Schiavoni
costumi Emanuela Cossar
assistente alla regia Isabella De Biasi
foto di scena Umberto Colferai

una produzione Tib Teatro

elettra

L’Elettra di Euripide presenta tratti singolari che, nell’allontanarla da un ambito eroico, quale quello ancora presente nella coeva di Sofocle, ne fanno un modello che si presta in maniera significativa ad un contesto contemporaneo in cui l’azione assume i colori di una mattanza cieca, mossa da pulsioni assolute, generata da sentimenti ambivalenti e oscuri in un paesaggio scarno, quasi da suburbio metropolitano.
Fratelli assassini, complici nell’uccisione dell’amante materno, prima, e artefici poi del matricidio, vero nucleo della tragedia.
Ma qual è l’origine di questo impulso matricida? La tragedia, prima dell’intervento dei Dioscuri, che, nell’esodo, ne addossano la responsabilità ad Apollo, si conclude con queste parole di Elettra: “...madre odiata e amata”, affermazione, questa, che rimanda ad un universo freudiano ante-litteram. Rapporto madre-figlia, figli che uccidono chi li ha generati, atto simbolicamente necessario ad affrancarsi da essi, e in questo caso, proprio come in episodi recenti che la cronaca ci rimanda, realmente compiuto. Atto che nell’universo euripideo comporta uno sgretolamento interiore dei fratelli matricidi, dal cuore «tutto desmandorlatos», secondo Giovanni Testori nel suo sdisOrè, sgretolamento che corrisponde ad un disfacimento esteriore: bagnati del sangue materno, i loro tratti appaiono alterati, così come i loro pensieri. Le certezze che avevano mosso le pulsioni omicide ora vacillano, in quell’umano procedere che tanto interessa Euripide.

 

NOTE DI REGIA

Segno di questa scrittura scenica è un lavoro accurato sulla parola, per tradurla in corpo scenico, materia scarna, priva di orpelli, realista. Il testo classico interseca la contemporaneità, dalla cronaca all’Elettra di Marguerite Yourcenar, al sdisOrè di Giovanni Testori, la cui lingua espressionista erompe a tratti, quale sindrome di Tourette, a palesare la nevrosi, la malattia dell’anima di Elettra. Locuzioni quali “vermena-pantegana”macrelica bagascia – vacca sconsacrata- toda sdeslabbratas” si iscrivono così in un contesto drammaturgico in cui il testo originario di Euripide, si arricchisce di suggestioni letterarie del ‘900.
Il mito nella contemporaneità è luogo di inquietudini, difficoltà, sradicamento. Elettra è ammalata non tanto per il rapporto con il padre ma per la relazione insoluta con la madre. La centralità del rapporto con la madre è evidente in Euripide, ne crea la parabola ascendente, la climax culminante nel matricidio, vero nucleo narrativo dell’opera che ci offre un quadro fosco percorso da sentimenti meschini, spregievoli, in cui nulla rimane dell’antica sacralità.
A muovere Elettra non sono ragioni etiche o religiose, ma la volontà di vendetta, la gelosia anche sessuale verso la madre – lei è alektros, vergine – il possesso dei beni, pirandellianamente la roba.
Accanto a lei un Oreste fragile, incerto, che si interroga sul rapporto con Dio, i cui comandi sono messi in dubbio così come lo è il concetto di giustizia. Un Dio, questo, che genera solo dolore.
Clitemestra è, nella mia visione, una donna segnata dal disamore, secondo l’orizzonte emotivo descritto dalla Yourcenar in Fuochi. Consegna un’altra versione dei fatti, con ripercussioni sull’opinione del Coro, che nell’udire le sue parole dimesse e, di fronte al crimine efferato commesso dai figli, proverà pietà per la madre.
Elementi scenici essenziali, idonei a riflettere il vuoto, che è vuoto esistenziale, disincanto, quello che connota l’incerto avanzare dei protagonisti nel loro terribile disegno.
Parola, geometrie spaziali, vuoto, suggestioni sonore, quali segni di una drammaturgia della scena, volta a perseguire un teatro dell’emozione che mentre smaschera l’antico mito, incontra il presente, il suo nichilismo, le sue anomie.

 

Daniela Nicosia