POLVERE OVVERO LA STORIA DEL TEATRO

Un progetto di Daniela Nicosia

con Katiuscia Bonato, Vania Bortot, Paola Compostella,
Susanna Cro, Clara Libertini, Vassilij Gianmaria Mangheras, Silvia Nanni, Solimano Pontarollo
drammaturgia e regia Daniela Nicosia
coreografie Laura Zago
scene e costumi Daria Tonzig
luci e suono Paolo Pellicciari

Una struttura architettonica sa parlarmi, rivelarmi la sua intrinseca, latente drammaturgia, la storia implicita, contenuta nelle sue linee prospettiche. Da tempo la mia ricerca artistica si muove in questa direzione. Da qui è nato Polvere che, attraverso la rivisitazione del teatro nei suoi luoghi nascosti, ne percorre la memoria, dall'universo mitico tragico di Sofocle, Euripide, Seneca che ritorna sotto forma di icona – è forse questa, oggi, l’unica possibilità di recupero della classicità? – fino ai contemporanei. L’evanescente concretezza di Polvere..., polvere che abita i teatri, come la vita, che è ciò che resta dopo... quando la soglia è varcata per sempre, che accomuna la vita alla morte rendendoci tutti umanamente simili, ci accompagna in questo viaggio, mentre il teatro si palesa quale luogo di anime, luogo di morte, di morti, che sa donare vita, soglia in cui l’officiante-attore instaura una relazione in uno spazio-tempo nuovo, che annulla la distanza, rimescola i ruoli, rende labile il confine... perché in fondo tutti persone... personaggi... siamo fatti della stessa materia, della stessa materia dei sogni... sogni di polvere... forse...

Daniela Nicosia

Il progetto Polvere, nato per il Teatro Comunale di Belluno nel 2003, sviluppa la ricerca artistica di Daniela Nicosia circa le architetture cittadine quali fonti drammaturgiche, individuando tra i luoghi e le loro rappresentazioni nuove possibilità di fruizione degli spazi stessi, nuova produzione di senso. Lo spettacolo, ispirato dalla configurazione architettonica del teatro storico della città di cui esalta le linee compositive rivelandone l’intrinseca latente drammaturgia, vuole essere una rivisitazione, in forma itinerante, dell’edificio e della macchina scenica attraverso la memoria del teatro stesso. È pertanto lo spazio a farsi protagonista di un percorso drammaturgico dai tragici greci ai contemporanei. Attraverso quei luoghi del teatro desueti al pubblico (graticcio, sottopalco, palco, camerini…) gli spettatori incontreranno le voci, le anime, che hanno dato vita al teatro nei secoli. A guidarli, come in sogno, l'impalpabile Polvere, mentre la travolgente affabulazione con marcate cadenze venete del custode del teatro sorprende gli spettatori ancora nel foyer e li accompagna fuori invitandoli a considerare la struttura architettonica della facciata e raccontando per brevi cenni ricchi di umorismo e note aneddotiche, la storia di quel teatro…

Ma la vera storia del teatro nei secoli, come lui stesso afferma, è storia «di uomini e di donne, di madri e di figli, di passioni e di attese, di vita e di morte, di terra e di polvere…».
È così che gli spettatori vengono affidati a Polvere, guida medianica del tragitto onirico nella memoria del teatro stesso… Entriamo, avvolti dalla musica dei violini che si impasta con i versi tratti da Orfeo, Euridice, Ermes di Rilke… e come Orfeo scendiamo e risaliamo in un luogo popolato di anime, di voci, di immagini. Il percorso si snoda tra gli anfratti più segreti dell’edificio e tra le anime, i personaggi che hanno dato vita al teatro nei secoli, dalla tragedia antica – attraverso Jacopone da Todi, Shakespeare, Calderon de la Barca, Goldoni, Rostand - fino ai contemporanei.

PROGETTO POLVERE
TAPPE DI UN PERCORSO SEMPRE IN DIVENIRE

 

IL PERCORSO
BREVE STORIA DELLE ORIGINI DEL PROGETTO POLVERE

Il progetto nasce da uno sguardo attento che Tib Teatro nel tempo ha saputo rivolgere al territorio di appartenenza in particolare svolgendo funzioni di osservatorio delle nuove generazioni, attraverso una capillare ed attenta azione di scolarizzazione teatrale di base ai fini di favorire la conoscenza, la promozione e la diffusione del linguaggio teatrale. Nei diversi progetti di programmazione rivolti all’infanzia e alle nuove generazioni è stato rilevato come nell’immaginario collettivo degli spettatori (in particolare i più giovani) fosse spesso poco chiaro che l’organizzazione dell’arte e dello spettacolo siano frutto di professionalità e specializzazioni diverse, acquisite attraverso percorsi di formazione e studi specifici. È inoltre emersa una scarsa coscienza della funzione sociale e di aggregazione che può svolgere la presenza di un edificio specifico, quale appunto il Teatro Comunale di Belluno, edificio storico della città, esempio di teatro all’Italiana, architettonicamente progettato e predisposto ad accogliere eventi di spettacolo. Queste ed altre riflessioni hanno fatto maturare alla compagnia l’idea di un progetto scenico atto a rivelare la storia dell’edificio teatro e della macchina scenica necessaria a farlo vivere. Una storia che abbiamo raccontato attraverso gli autori che rappresentano la memoria del teatro stesso fin dalle origini. Una storia che unisce arte e artigianato, lavoro creativo e lavoro manuale, poesia e fatica in un’unica meravigliosa fabbrica di sogni: il teatro.

La prima tappa del progetto è stata attivata nel 2003 con una proposta di visita guidata al Teatro Comunale di Belluno all’interno della Stagione per l’Infanzia e la Gioventù Comincio dai 3, una visita guidata per diversi gruppi classe delle scuole superiori della provincia che hanno potuto scoprire quegli anfratti e quei luoghi del teatro solitamente nascosti e sconosciuti all’occhio dello spettatore seduto in platea. Lo spettacolo, nelle sue differenti chiavi di lettura, ha consentito anche una riflessione sulle differenti professionalità del teatro in cui arte e artigianato, creatività e manualità si avvicendano nella tessitura di preziosi manufatti. Un percorso che sì è rivelato emozionante e coinvolgente disseminato dalle voci di autori e generi che hanno fatto la storia del teatro nei secoli incarnate da attori professionisti e giovani allievi-attori bellunesi formatisi attraverso i laboratori proposti ogni anno dal Filo d’Arianna.
Per il successo ottenuto lo spettacolo è stato in seguito programmato in differenti Stagioni del Teatro Comunale di Belluno: Stagione di Prosa, Stagione di Teatro Contemporaneo Doc fino all’edizione del 2009 realizzata per il Filo d’Arianna Festival che ha costituito il ritorno dello spettacolo proprio laddove era nato quale progetto pilota per la riscoperta dei teatri storici, nel rapporto tra architettura e teatro.

La seconda tappa del progetto è stata realizzata presso il Teatro Civico di Schio nel settembre del 2005 all’interno del Progetto Lottozero, di riabilitazione e restituzione alla città del suo teatro storico con il coinvolgimento diretto di artisti, registi, architetti, critici, in un percorso di recupero non strettamente filologico, improntato alla ricerca di un teatro nuovo, quale spazio che sappia testimoniare la storia e rappresentare il presente. Polvere ovvero la storia del teatro vi si è incastonato naturalmente, tra le decorazioni scrostate, gli stucchi caduti, gli squarci del soffitto, i palchi e i loggioni consumati dall’umidità, la Polvere che popola i teatri ha saputo parlare agli artisti e agli spettatori che nel fascino di questo grande corpo malato hanno ritrovato l’emozione autentica di un viaggio dentro se stessi.

La terza tappa del progetto ha dato vita ad una creazione originale per La Biennale di Venezia 2006 denominata Polvere ovvero la storia del teatro – Un progetto di Daniela Nicosia per il Teatro Goldoni. Il 38° Festival Internazionale del Teatro diretto da Maurizio Scaparro dedicato a Gozzi e Goldoni europei, ha inteso realizzare così un percorso originale proprio in quel teatro in cui il Goldoni maturò la sua esperienza e la sua Riforma. Lo spettacolo al Teatro Goldoni è stato caratterizzato dal desiderio di creare una fluidità di comunicazione tra l’architettura interna, il cuore del Teatro composto dalla platea e dai suoi differenti ordini di balconate, le decorazioni, le antiche colonnine – ancora palpitante delle voci dei grandi attori dell’Ottocento da Gustavo Modena alla Duse, a Zacconi, alle Grammatica – e il teatro di fuori, quello delle corti e delle calli; quella Venezia da cui lo stesso Goldoni ha tratto i migliori spunti per la sua immensa opera di scrittura.

 

PENSIERI PER POLVERE
DI DANIELA NICOSIA

TEATRO COMUNALE DI BELLUNO 2003
«Teatro, ho sempre subito la fascinazione di questo luogo… luogo di anime… di memorie. Ho sempre vissuto il teatro come un meraviglioso luogo sporco, di terra e di polvere, dove è necessario, all’attore come allo spettatore, lasciarsi contaminare, sporcare, attraversare affinché la parola poetica possa, grazie a quella polvere, respirare. Affinché essa possa incarnarsi nel corpo dell’attore mescolandosi con il suo sudore, con la sua fatica e così purificarsi fino a toccare l’anima di chi la interpreta e di chi l’ascolta. Queste ed altre suggestioni mi hanno guidata verso Polvere, insieme all’idea di teatro quale soglia tra la vita e la morte, tra l’essere e l’apparire. Un limite nel quale si riflette il ruolo dell’attore e dello spettatore, in quanto persone. Teatro come rito, in cui l’officiante-attore instaura una relazione in uno spazio-tempo nuovo che annulla la distanza, rimescola i ruoli, rende labile il confine.

Qui l’officiante è Polvere, guida afasica e medianica del tragitto onirico nella memoria del teatro stesso. Dall’universo del teatro classico fino ai giorni d’oggi si giunge, esplorando l’edificio teatrale nei suoi anfratti più segreti, a scorgere l’attore nudo, faccia a faccia con lo spettatore in un gioco sottile tra l’essere e l’apparire, sospeso tra la vita e la morte. L’evanescente concretezza di Polvere…, polvere che abita i teatri, come la vita, che è ciò che resta dopo… quando la soglia è varcata per sempre, che accomuna la vita alla morte rendendoci tutti umanamente simili, ci accompagna in questo viaggio, mentre il teatro si palesa quale luogo di anime, luogo di morte, di morti, soglia che sa donare vita.

La drammaturgia che dai classici giunge fino ai contemporanei, mi è stata suggerita dallo spazio di quel teatro in cui ho creato lo spettacolo e così sarà ogni volta, per ogni teatro che ci ospiterà. Perché una struttura architettonica sa parlarmi, rivelarsi quale spazio del tragico o del comico, guidarmi nella scelta del repertorio giusto per quel luogo. Perché un edificio nasconde in sé già una drammaturgia, ha una storia implicita contenuta nelle sue architetture.

L’attore nello spazio è materia nella materia, materia che crea altra materia, altre possibili fruizioni e significati dello spazio stesso. L’attore è corpo e memoria, materia e anima, come anime, evocazioni, appaiono gli attori in Polvere, citazioni di se stessi, fino alla dichiarata nudità del finale. Finzione? Verità… forse…»

 

TEATRO CIVICO DI SCHIO 2005
IL CIVICO: ECHI, SUGGESTIONI, RICORDI…
Un corpo malato… grandi occhi spalancati, svuotati eppure ancora desiderosi di stupore, un raggio di sole accarezza improvviso la pelle… superficie affaticata, levigata dal tempo. La luce ne plasma i contorni, ne rivela i colori, pallide sbucciature come affreschi, e lo priva della struggente malinconia che lo invade – ci invade – in un giorno di pioggia… Una vita latente si palesa, pronta a pulsare di nuovo, o meglio è una tensione a vivere che si intuisce, la percezione di un desiderio ancora tangibile.
Così mi appare il Civico al nostro primo incontro.
Sono in basso nella platea svuotata, dove hanno lottato uomini e tori, il teatro è lì e anche sopra di me, sembra guardarmi attraverso i vuoti occhi rossi dei palchetti, sfidarmi attraverso il suo avvitarsi su se stesso nelle balconate che si affacciano sul palco. «Un giorno farò qui il Campiello» penso «anche se non amo Goldoni questo spazio mi permetterà di leggere Goldoni come non ho saputo fare prima». Ma ora sono qui per Polvere che dalla polvere del Civico trarrà nuovo nutrimento.
È bellissimo questo teatro fin troppo gentile nei suoi tratti, non devo lasciarmi prendere la mano, scivolerei in un lirismo che non mi appartiene. Devo ascoltarlo, invece, passarci del tempo… Polvere deve rinascere in questa polvere senza che il fascino di questa struttura si sovrapponga alla storia che, pur esplorando l’edificio teatrale nelle sue architetture, nei suoi anfratti più segreti, lo spettacolo racconta. Ma che storia racconta il mio spettacolo? Racconta della polvere che abita i teatri, come la vita, che è ciò che resta dopo... quando la soglia è varcata per sempre, che accomuna la vita alla morte rendendoci tutti umanamente simili, mentre il teatro si palesa quale luogo di anime, luoghi di morti, in un gioco sottile tra l’essere e l’apparire, sospeso tra la vita e la morte. Nella percezione del Civico quale luogo sospeso, quale soglia tra ciò che è e ciò che non è più, si crea un nesso profondo tra lo spettacolo e questo spazio, nasce una relazione forte tra me e questo corpo agonizzante che ha ancora voglia di vivere.
Penso a mio padre… ai suoi ultimi giorni, a quella lotta assoluta per la vita, a quella passione per la vita che lo ha tenuto in vita a dispetto di una diagnosi evidente e senza speranza. Era pallido, elegante come questo Teatro dalla pelle trasparente, per cui invece è ancora possibile immaginare un futuro.
Non sono un architetto, non ho la medicina giusta, ma so che questo è il luogo giusto per dare nuovo respiro alla mia ricerca artistica circa gli intimi rapporti che individuo tra architettura e teatro.
Una struttura architettonica sa parlarmi, rivelarmi la sua intrinseca, latente drammaturgia, la storia implicita contenuta nelle sue linee prospettiche. Affinché questo accada è necessario mettersi in ascolto di quel preciso spazio. Per questo ora, sono qui al Civico col desiderio di dar voce al silenzio custodito tra le sue pareti stanche che sanno ancora raccontare…

La riscrittura e il riallestimento di Polvere a Schio è un progetto fortemente condiviso dalla Fondazione Teatro Civico, pertanto con agio, dopo i primi sopralluoghi con i diversi collaboratori, mi è permesso di restare sola per diversi giorni nel teatro vuoto.
Il vuoto è una delle suggestioni più forti del Civico.
Il loggione che si sporge nel vuoto nero degli ordini sottostanti con le sue strutture lignee pericolanti, che accoglie il vuoto della cabina di proiezione sventrata, si apre a un altro vuoto, quello esterno, attraverso le porte finestre che guardano lontano, alla graffiante archeologia industriale… scheletro vuoto... la Lanerossi. Ricordo la pubblicità e il marchio di quella ditta nei caroselli televisivi della mia infanzia: un gomitolo avvoltolato a forma di trifoglio… Dipano il filo rosso, consegnatomi da Annalisa novella Arianna, nel labirinto di quel teatro vuoto in cui al contrario di Teseo, desidero perdermi, annullarmi per scoprire nel silenzio della mia solitudine, i passi che composero il segreto dell’antica danza.
Vuoto nel ripetersi degli archi che circoscrivono i palchetti, vuoto negli scavi profondi del golfo mistico, vuoto nel sottopalco ricco di reperti-residui-frammenti, vuoto nei vestiboli che si affacciano nudi sul palco.
Il vuoto nero su cui si proietta l’ellissi del loggione mi appare quale spazio sofferto, qui troverà voce il dolore delle madri… Andromaca, Donna de Paradiso, e persino la terribile preghiera di Lady Macbeth, mentre i vestiboli su palco diverranno le stanze della passione. Medea, trascinata ai polsi da lunghi elastici bianchi su un pavimento disseminato di resti recuperati nel sottopalco- il marmo rotto di una lapide, piatti sbeccati, vetri, una forchetta in alluminio - sarà scorta dagli spettatori attraverso l’inquadratura sbilenca di un vecchio stipite malfermo; Edipo sarà invece racchiuso in una icona che lo ricongiunge, già cieco, a Giocasta in un ultimo estremo atto d’amore. Su di loro un informe baldacchino di plastica trasparente contaminerà lo spazio, tra candelabri di cristallo e argenteria memorie di antica nobiltà, tra piume sparse a terra come in un pollaio, e crepe alle pareti ben in evidenza grazie alla luce che lascio penetrare dalla strada, approfittando ancora di un vuoto: un buco abbastanza ampio trovato nella parete esterna di un sottoscala del teatro. Fedra avvolta in un nido di rami secchi, colta nella infinita iterazione di un solo gesto, sarà immersa nel rosso di un lungo palchetto di primo ordine dove è possibile far accedere gli spettatori vicinissimi all’attrice. Percorreranno poi il lungo corridoio oscuro che costeggia i palchi attigui, più piccoli e senza porte, per ritrovare in essi schegge di quella prima installazione, non più figure umane ma solo accumuli di materia in sottrazione: rami, terra, petali di rosa, un bicchiere di cristallo e poi più nulla, ancora vuoto…

Col tempo scoprirò che la visione degli stucchi e delle decorazioni dei palchetti di proscenio, è molto più intensa se vi si arriva dal lato destro del teatro, attraverso il corridoio esterno. Nello spettacolo la luce fredda di un sagomatore ne esalterà la bellezza mentre la trasparente leggerezza dei tratti avrà eco nella voce di Maria Callas in Casta Diva che ci accompagnerà lungo le scale in pietra che si sviluppano ai due lati del palcoscenico. Mi manca il graticcio, l'aereo collegamento orizzontale tra i due estremi. Concepisco allora che realizzerò in verticale sui due fronti opposti e sui tre livelli delle balconate la scena che rimanda al lavoro del teatro, a quel suo essere fatto di terra e di polvere, di fatica e di materia: legno, tiri, corde… Scopro lungo il terzo ballatoio un enorme attrezzo in legno per avvolgere le corde che ha l’aspetto del timone di una nave… gli spettatori dovranno trovare questo aggeggio in movimento… il suo suono mi incanta… Un sistema di corde creerà un ideale collegamento tra gli spazi e permetterà all’antico strumento di svolgere ancora una volta la sua funzione. Grazie a Daria Tonzing, che cura le installazioni dello spettacolo, il complicato intreccio è ormai al varo, un palo enorme in legno trafigge una delle pareti interne diroccate e crea il collegamento tra gli spazi, alle corde vengono ancorate in sospensione, oblique, le vecchie porte dei palchetti svuotate del tamburo, cornici vuote nell'aria: tutto è mobile, in disequilibrio, come essere sul relitto di una nave, qui le parole del cieco nel Sogno di Strindberg assumono nuova concretezza. «Una volta ho chiesto a un bambino perché il mare è salato, e il bambino che aveva il padre imbarcato per un lungo viaggio mi ha risposto: il mare è salato per le lacrime dei marinai».
Imbarcazioni, antiche migrazioni, le donne di Troia costrette, quali concubine degli Elleni, ad andare per mare mentre la città brucia e con essa gli affetti più cari… le migrazioni di oggi, e l’abuso di quella miseria piena di attese che attraversa il mare…
Ho attraversato il mare nei giorni trascorsi al Civico, quello dentro di me e il mare altrove, quello del piacere del pensiero e della fatica. C’è voluto del tempo, come andare per mare, affinché quel corpo, nel lento risveglio che sconfigge la malattia, trovasse nuova parola e si lasciasse prendere per mano e a fil di labbra mi rivelasse da che parte poterlo toccare per non fargli male…

 

 

TEATRO GOLDONI DI VENEZIA 2006
Un pensiero di Polvere per il Teatro Goldoni

Venezia, per la sua particolare struttura architettonica, è già un teatro. Il Goldoni, culla del teatro veneziano e internazionale nei secoli, architettonicamente si compone di un cuore di teatro, la sala - platea e i suoi differenti ordini di balconate, le decorazioni, le antiche colonnine. Attorno a questo cuore, un intricato sistema di scale in cemento, corridoi, marmi, assolutamente anonimo. Un anello funzionale che avvolge, nasconde quel cuore pulsante interno.

Un sistema a cerchi: il teatro dentro, il nulla intorno e il teatro fuori, cioè Venezia. Il desiderio è creare una fluidità di comunicazione tra quel teatro dentro, quel cuore ancora palpitante di voci, di anime, di memoria, e l’altro teatro fuori, la città delle corti e delle calli, teatro di vita. Affinché tale rapporto sia possibile, è necessario attraversare il nulla, il vuoto dei lunghi corridoi in marmo che fiancheggiano i palchetti e percorrere la struttura in verticalità, mescolandone le linee e i tracciati in silenzio…

L’antica sala scenografie, oggi sala prove, traghetta, racchiude anime dolenti, che si riversano con i loro echi nel vuoto del graticcio metallico, luogo di lavoro… nave pronta a salpare… e poi ancora giù, fin nella pancia del teatro, quel sottopalco, invaso di polvere e materia che si riversa a sorpresa fuori… dove la vita, nelle calli, segue morbidamente il suo corso…

Il cuore ritorna, è cuore della vita di questo teatro e della sua storia, segnata dal passaggio dei grandi attori dell’Ottocento da Gustavo Modena alla Duse, a Zacconi, alle Grammatica, segnata dalla presenza ancora viva di Carlo Goldoni che a questo teatro ha legato buona parte della sua esistenza e che da questo teatro, così come da quell’altro teatro di fuori, ha tratto i migliori spunti per la sua immensa opera di scrittura. La sua riforma ha preso vita tra queste pareti, oltrepassandole, guardando dentro quel teatro di vita che è Venezia, quella vita che senza aver attraversato anche per un breve momento le zone vuote e il nulla fuori e dentro di noi non può essere assaporata…