LA CHIAVE A TRIANGOLO 

di e con Alessandro Libertini

con il contributo della psicologa Bianca Pananti
e dell’artista Véronique Nah

una coproduzione PICCOLI PRINCIPI / TIB TEATRO

 

La chiave a triangolo

Per sei anni, dal 1975 al 1981, ho insegnato educazione artistica nei corsi di Scuola Popolare dell’Ospedale Psichiatrico Chiarugi di Firenze, meglio conosciuto col nome di manicomio di San Salvi. I miei allievi erano pazienti dell’ospedale, uomini e donne di età compresa tra sedici e ottant’anni. La maggior parte di loro erano lungodegenti, vale a dire persone che avevano alle spalle – o forse è meglio dire “sulle spalle” – anni e anni di ospedalizzazione.  Erano per lo più analfabeti o analfabeti di ritorno. Frequentare i nostri corsi dava loro la possibilità di ottenere un diploma di scuola elementare.

Il progetto della Scuola Popolare, fortemente voluto da alcuni psichiatri dell’Ospedale, è da inquadrare nel clima politico che si respirava in quegli anni attorno al tema della malattia mentale. Sono gli anni che precedono l’introduzione della legge 180 – detta legge Basaglia dal nome del suo ispiratore – che decreterà nel maggio del ’78 la chiusura degli ospedali psichiatrici in tutta Italia. Sono anni di forti discussioni, di accesi dibattiti, di fermenti in campo medico e sociale. E sono anche anni di coraggiose sperimentazioni: la Scuola Popolare di San Salvi appartiene sicuramente a una di queste.

Quando iniziai il mio lavoro d’insegnante, per prima cosa mi consegnarono una chiave, che conservo ancora, non so perché, forse per impedirmi di dimenticare. Era una chiave a triangolo che mi consentiva di entrare e uscire liberamente dai reparti, che a quell’epoca erano ancora chiusi.

Il possesso di quella chiave simbolicamente mi caricava di una grande responsabilità: potevo far entrare e far uscire dall’ospedale psichiatrico, non certo persone, ma pensieri, racconti, esperienze di vita.

Da questa straordinaria avventura che ha occupato buona parte degli anni della mia giovinezza, nasce l’idea di farne uno spettacolo teatrale dal titolo, appunto, La chiave a triangolo. Uno spettacolo che non limitandosi a raccontare i fatti che hanno caratterizzato quella singolare esperienza educativa, vuole affrontare alcuni dei temi che l’hanno attraversata. Tutti temi ancora oggi di grande attualità: il rapporto tra istituzione e malattia mentale, la criminalizzazione e l’idealizzazione del matto, l’attrazione e la repulsione per il diverso, i possibili confini tra normalità e follia, il delirio come fonte d’ispirazione artistica.

Intrecciando diverse tecniche teatrali – il teatro di narrazione, il teatro d’oggetti, il teatro dei burattini – lo spettacolo accosta parole a immagini visive e sonore con lo scopo di suggerire più che spiegare, di evocare più che descrivere, argomenti ed atmosfere inerenti al tema della diversità. La chiave a triangolo si propone di fornire allo spettatore spunti di riflessione: ciascuno sul proprio personale rapporto col diverso, sulla propria personale anormalità, sulla propria parte di follia.

Alessandro Libertini